Museo – ABC
un viaggio dalla A alla Z per scoprire i tesori nascosti dei musei universitari padovani
Museo – ABC è un viaggio dalla A alla Z per scoprire i tesori nascosti dei musei universitari padovani.
Giocando con le iniziali dei reperti, raccontiamo oggetti dal grande valore scientifico, svelando aneddoti, particolarità e dettagli sorprendenti.
Tra collezioni rare, curiosità inaspettate e storie poco note, prende forma un percorso di meraviglia e conoscenza.
È una nuova avventura dell’Università di Padova, nata per invitare all’esplorazione, all’apprendimento e allo stupore.
Pronti a partire? L’alfabeto dei tesori vi aspetta!
A come … Anfore!
Semplici contenitori da trasporto o anche altro? Molte delle migliaia di anfore romane che ogni anno vengono scoperte dagli archeologi ebbero in realtà più di una vita. Il loro primo utilizzo era indubbiamente legato al commercio e alla necessità di trasportare prodotti su lunghe distanze, via mare, tuttavia molto spesso questo contenitori venivano riutilizzati e potevano avere una seconda vita nei settori più disparati. Per esempio il re-impiego di anfore era strategico in edilizia soprattutto per consolidare i terreni umidi e poco consistenti, proprio tramite la costruzione di sottofondazioni di anfore. Anche il riposo eterno poteva essere agevolato da un’anfora: opportunamente tagliato ed adattato questo contenitore poteva fungere da protezione alla sepoltura del defunto. E infine, le anfore ci parlano! I nomi impressi con piccoli stampi, i graffiti e le scritte dipinte che compaiono su questi vasi consentono agli archeologi di ricostruire la fitta rete dei commerci mediterranei antichi. E tutto grazie ad un umile contenitore di terracotta!


B come …Baobab
Considerato una delle meraviglie della natura, è diffuso in tutta l’Africa e venne osservato per la prima volta in Senegal nel 1750 da Michel Adanson , cui la pianta è dedicata (Adansonia digitata è la specie più comune). È un albero gigantesco il cui tronco, in grado di immagazzinare grandi quantità d’acqua, può superare i 4 metri di diametro. Ma anche i fiori non scherzano e, con una larghezza di 15-20 cm, si aprono nelle ore notturne attirando i pipistrelli che li impollinano. Qui vedi il frutto che, lungo fino a 50 cm, è rivestito da una sottile peluria e contiene una polpa biancastra e acidula in grado di togliere la sete; la polpa, spesso insieme alle foglie, è usata anche per produrre un sapone dagli effetti lenitivi e antiacneici. Ma il baobab è molto altro ancora ed è così importante da essere il centro della vita locale africana: mercati, riunioni e danze si tengono sotto i suoi rami.


C come… Cromofotografia
Cosa c’entra la fotografia con un museo di macchine? In realtà tantissimo, se si parla di Enrico Bernardi. Pochi sanno infatti che l’ingegnere che nel 1894 progetto e costruì la prima automobile italiana era anche un appassionato di fotografia. Il suo archivio, conservato al Museo Bernardi, raccoglie moltissime fotografie, realizzate da Bernardi stesso, e alcuni quaderni ricchi di appunti sulla tecnica fotografica e su tutte le prove che l’ingegnere effettuava.
Ma risale solo a qualche settimana fa la scoperta di due piccole scatole contenenti alcune lastre di vetro, sulle quali sono impresse delle immagini in negativo e in positivo… a colori! Queste lastre ci permettono di avere uno sguardo a colori sul mondo di Bernardi e su Bernardi stesso, perché contengono anche l’unico ritratto di Bernardi a colori. Da appassionato di tecnica fotografica qual era, Bernardi correda poi ogni lastra con la descrizione del soggetto, dell’esposizione, delle condizioni atmosferiche e del materiale usato per realizzare la lastra.


D…come Divulsoria
Un nome astruso per una macchina bellissima! Siamo nel cuore del ‘700. La Cupola di San Pietro, a Roma, sembra sul punto di crollare e il papa, Benedetto XIV, ne affida il restauro a Giovanni Poleni, professore di fisica sperimentale all’Università di Padova. Esperto conoscitore sia della fisica che dell’architettura dell’antichità, Poleni è la persona giusta. Decide di fissare dei cerchioni di ferro per consolidare la cupola… ma come dimensionare i cerchioni? Per determinarlo, occorre sapere quanto possono resistere alle trazioni cui saranno sottoposti… e Poleni inizia quindi fare misure di resistenza con la sua macchina divulsoria. Un nome astruso per una macchina che permise di restaurare la Cupola di San Pietro.


E come… EBE!
Dea della giovinezza e, come ci ricorda la famosa scultura che le dedicò Antonio Canova, coppiera degli dei, Ebe è figlia di Zeus ed Era o, secondo altre versioni del mito, della sola Era… sedutasi su una lattuga!
Presso Villa Revedin Bolasco è stata recentemente recuperata una grande incisione (767x530 mm) di Francesco Galimberti, che la vede protagonista. Si tratta della riproduzione di un dipinto attribuito alla bottega di Paolo Veronese e risalente agli anni ottanta del Cinquecento, intitolato Concilio degli dei. Ebe vi è rappresentata mentre ascende al Monte Olimpo accolta nell'assemblea delle divinità, cui porta in dono tutti i piaceri legati alla gioventù e alla bellezza. E voi, quali doni avreste voluto ricevere?


F come… FRENOLOGIA!
E se stai pensando a un freno per la logica, beh… sei fuori strada, ma non troppo! La frenologia è una teoria sviluppata alla fine del XVIII secolo da Franz Joseph Gall e in Italia largamente utilizzata da Cesare Lombroso. Secondo questa teoria le funzioni psichiche sarebbero localizzate in aree specifiche del cervello, e lo sviluppo di queste aree determinerebbe la forma esterna del cranio. I sostenitori di questa disciplina, ritenevano quindi possibile rilevare le attitudini e i tratti del carattere di un individuo palpando e misurando il suo cranio.
Pur essendo oggi considerata una pseudoscienza, la frenologia ebbe una notevole influenza nel XIX secolo, non solo nel campo delle scienze mediche e neurologiche, ma anche nella nascente criminologia, nella pedagogia e nella filosofia della mente. Le sue mappe craniche, suddivise in “facoltà”, furono largamente diffuse e utilizzate in ambito clinico, educativo e museale.
Nonostante le sue basi scientifiche fossero deboli già all’epoca, la frenologia contribuì alla nascita della neuroanatomia funzionale e stimolò il dibattito sull’organizzazione del cervello, anticipando in forma rudimentale alcuni concetti della neuroscienza moderna.


G come … Gioco dell’Oca dell’Aquila!
Ti piace il gioco dell’Oca? Al Museo dell’Educazione c’è il Gioco dell’Oca “dell’Aquila”. L’animale protagonista diventa l’Aquila, ed ha anche due teste!
Il gioco risale a più di 100 anni fa nel 1916, durante la Prima Guerra Mondiale, e lo fecero stampare le Patronesse dell’Assistenza Pubblica Milanese, quando le potenze alleate della Triplice Intesa, cui si era aggiunta l’Italia, combattevano contro gli Imperi Centrali di Germania e Austria-Ungheria.
Il gioco (un tabellone di carta di 48,4 cm x 62 cm) porta in calce la scritta Questo è il gioco dell’Aquila sotto mentita veste. Resta il giuoco dell’Oca, dell’Oca con due teste. Le parole e le immagini fanno intuire subito un patriottismo che induce i giocatori a considerare i nemici con disprezzo e ostilità. L’Austria-Ungheria, rappresentata dall’Aquila a due teste, deve essere schiacciata dai soldati italiani! Sono proprio i soldati che devono essere sostenuti e aiutati: nel gioco infatti compare la scritta I soldi che nel giuoco hai guadagnati, versali per la lana dei soldati. Questo gioco da tavolo fa comprendere come spesso i giochi non sono “neutri”, anzi veicolano idee e ideologie che il mondo adulto impone all’infanzia!


H come… HOMO FLORESIENSIS o HOBBIT!
“In una caverna sotto terra viveva uno hobbit”. L’inizio del celebre romanzo Lo hobbit di J.R.R. Tolkien ben si adatta a questo fossile umano. Vissuto sull’Isola di Flores nell’Indonesia orientale tra 190-50 mila anni fa, i primi esemplari di H. floresiensis sono stati ritrovati all’interno di una grotta. Era alto solo un metro e aveva un cervello piccolo (380 cc), all’incirca come quello degli scimpanzé.
Nonostante questo era capace di produrre raffinati strumenti in pietra, utilizzare il fuoco, cacciare animali come piccoli elefanti e roditori, e difendersi da temibili predatori come i draghi delle Komodo.
Le sue piccole dimensioni sono il risultato di un processo chiamato nanismo insulare che porta alcuni animali a ridurre la taglia in risposta alle limitate risorse dell’ambiente.


I come… IDRODINAMICO!
Molti animali che vivono in mare aperto, pur non essendo parenti stretti, come nel caso di pesci e balene, hanno adottato soluzioni simili per nuotare agevolmente e senza sforzo. Tutti i grandi nuotatori hanno una forma a siluro, che li rende particolarmente idrodinamici, permettendo di scivolare nell’acqua minimizzando l’attrito. Nel pesce spada questa caratteristica è ulteriormente accentuata proprio dalla "spada", che gli permette di raggiungere i 90 Km/h!
Molti animali hanno poi una pinna dorsale, che li aiuta a stabilizzarsi nel nuoto rettilineo. Se però devono virare bruscamente, i tonni possono nascondere completamente questa pinna in una tasca apposita presente sulla schiena. Nei cetacei, in grandi squali e altri pesci di mare aperto, al lato della coda sono presenti le carene, degli “alettoni” che riducono i vortici e facilitano il nuoto. Parlare di siluri, alettoni e altri termini tipici dell’ingegneria non ci deve stupire: per auto da corsa, sommergibili e altre invenzioni, ci siamo chiaramente ispirati a quando già presente in natura da milioni di anni! Anche i dentelli presenti sulle ali degli aerei sono ispirati alle particolari pinne delle megattere.


J come... Johannsenite!
La Johannsenite, il cui nome rende omaggio al geologo americano Albert Johannsen, è un minerale poco conosciuto ed estremante raro appartenente al gruppo dei pirosseni. La Johannsenite è un perfetto esempio di come la natura sappia essere selettiva: si forma solo in ambienti geologici molto caldi, come le fumarole vulcaniche o in vene idrotermali! È il risultato di complesse reazioni tra fluidi ricchi di manganese e rocce calcaree o vulcaniche. Quello che la rende veramente speciale è proprio la sua rarità! Infatti è stata trovata in poche località nel mondo, come il Messico, la California e alcune zone dell’Italia, tra cui spicca il Monte Civillina, nel Comune di Recoaro Terme, importante centro minerario dell’area vicentina fin dal Medioevo.


K come… KIWI!
E se stai pensando al frutto, hai preso un bell’abbaglio! Il kiwi è infatti anche un uccello endemico della Nuova Zelanda, di cui è il simbolo nazionale. Come spesso accade negli uccelli adattati ad ambiente insulare, il kiwi ha perso la capacità di volare e le sue ali si sono ridotte a tal punto da rimanere nascoste sotto al piumaggio. Il suo nome scientifico, Apterix, vuol dire appunto “privo di ali”.
Il piumaggio dall’aspetto ispido, che assomiglia più a peli che a penne, e il lungo becco leggermente ricurvo, con cui l’animale talvolta si appoggia a terra come fosse una terza zampa, gli danno un aspetto buffo! Caso unico tra gli uccelli, le narici sono poste all’estremità del becco e gli consentono di localizzare nel terreno gli invertebrati di cui è ghiotto.


L come…..Leone!
Eccolo in tutta la sua grandezza e maestosità, ispiratore di favole e film passati alla storia, probabilmente il più discusso in tutto il Regno Animale.
Ma è veramente il famigerato Re della foresta? In realtà il Leone, seppure viva marginalmente alle foreste africane, il suo habitat prevalente è quello della Savana.
Le sue zanne, i suoi artigli e le sue possenti mandibole fanno di questa specie un magnifico predatore con abitudini sociali molto spiccate, caso unico fra i felidi.
I grandi maschi, muniti di criniera, comunicano la loro presenza attraverso un potente ruggito col quale segnano il territorio, udibile fino a 8 km di distanza,.
Attualmente a causa della distruzione del suo habitat e del bracconaggio, questa specie è diventata estremamente vulnerabile e con una marcata riduzione della sua diffusione.


M come… Mundus Subterraneus
Con Athanasius Kircher (1602-1680) ci saremmo potuti giocare quasi tutte le lettere dell’alfabeto: nella sua vita infatti si occupò di filologia, musica, scienze naturali, medicina, astronomia, fisica … Ma abbiamo scelto la M in onore del suo libro più famoso, Mundus Subterraneus, pubblicato per la prima volta nel 1665.
Un universo affascinante popola il sottosuolo: minerali straordinari, rovine archeologiche, grotte scavate dall’acqua, fiumi di fuoco liquido che, di quando in quando, squarciano le montagne. Per spiegare tutto questo, Kircher si basò in parte su racconti e studi altrui, ma molte cose le osservò in prima persona: anzi, l’ispirazione per l’opera gli venne dopo aver assistito all’eruzione dell’Etna e dopo essere scampato a un terremoto a Messina, nel 1638. Ne nacque un capolavoro, ricco di ipotesi geniali - a volte anche bizzarre - e di illustrazioni straordinarie. Che ne dite?


N…come nanismo
Un elefante nano… che idea bizzarra! Non così tanto perché al Museo della Natura e dell’Uomo ne sono conservati di ben di specie diverse provenienti dal Pleistocene della Sicilia.
Il fenomeno del nanismo insulare si è presentato più volte nel corso della storia della vita sulla terra ed è stato riconosciuto anche in alcuni dinosauri!
Il nanismo insulare è un processo per cui specie animali di grandi dimensioni (quali elefanti, cervi, ippopotami…), sulle isole tendono a rimpicciolirsi. Ciò comporta una serie di vantaggi, ad esempio aumenta il numero degli individui che possono sostentarsi con le poche risorse disponibili nell’isola. Inoltre gli individui nani raggiungono prima la maturità sessuale, assicurando così continuità alla specie. Solitamente nelle isole mancano i grandi predatori e ciò favorisce la diminuzione di taglia nei casi in cui, per difendersi, sarebbe invece necessario essere grandi e grossi.
Al Museo della natura e dell’Uomo

O come… Omaggio a Galileo!
La Sala di Laurea di Scienze al terzo piano di Palazzo del Bo celebra il genio di Galileo attraverso un dipinto murale di Ferruccio Ferrazzi realizzato negli anni quaranta del Novecento sotto il rettorato di Carlo Anti, e un raffinatissimo lavoro di Paolo De Poli (1905-1996) intitolato Omaggio a Galileo: sopra una superficie di un meraviglioso blu lunare, ottenuta per successive cotture a 90° con sovrapposizione di smalti, stelle in smalto e argento sospese su fili d’acciaio creano con il loro movimento sempre nuovi effetti luministici.
Non è l’unica opera di De Poli presente nelle collezioni universitarie patavine: spettano all’artista, noto a livello internazionale per il suo lavoro nel campo della decorazione su rame, anche i due grandi pannelli raffiguranti il Podestà Giovanni Rusca e il Vescovo Giordano – le due massima autorità cittadine nell’anno di fondazione dell’Ateneo – presenti nella cosiddetta Sala di Lettura nel Circolo dei Professori di Palazzo del Bo. Poche stanze più in là, nello Studio oggi della Rettrice, un elegante servizio da scrivania in smalto rosso dialoga con le poltrone in tinta appositamente disegnate da Gio Ponti per questo ambiente.
Sempre a Palazzo del Bo si può ammirare la scultura Foglie di Cala, ispirata alle piante acquatiche che abitano le vasche dell’Orto Botanico, mentre presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione è visibile il pannello Volo di Gabbiani, il più grande pannello in smalto su rame presente in città, il cui soggetto risulta ispirato dalle passeggiate compiute da De Poli lungo le rive dell’Adriatico.


P come… PETRARCA
Non molti sanno che il sommo poeta Francesco Petrarca (1304-1374) perse la testa due volte! La prima è quella più nota e riguarda Laura, la donna da lui amata che ispirò il Canzoniere. La seconda è meno conosciuta, ma sicuramente è più sorprendente.
Quando il naturalista Giovanni Canestrini aprì nel 1873 la tomba per studiare i resti del poeta, disse che il cranio si disgregò in mille pezzetti. Anche se non è ben chiaro come, Canestrini fece tempo a misurarlo, disegnarlo e (forse) farne il calco, oggi esposto al Museo della Natura e dell’Uomo.
Nel 2003 venne riaperta la tomba un’altra volta e all’interno c’era inaspettatamente… un cranio integro, che il DNA confermò essere femminile.
Dunque, che fine ha fatto il cranio di Francesco Petrarca? Al momento non c’è alcuna risposta a riguardo.


Q come… Quadri murali!
Nella scuola italiana di fine Ottocento, povera di mezzi e di finanziamenti, avere a disposizione quadri illustrativi che potessero dare conto visivamente di quanto veniva appreso era una grande opportunità per gli alunni! I bambini provenivano spesso da contesti socio-culturali deprivati e comunque avevano esperienze limitate, e gli insegnanti avevano nell’immagine un valido aiuto alle loro spiegazioni e la possibilità di far concretamente vedere ciò che si studiava. Questi sussidi visivi sono gli antenati di altri mezzi didattici, più moderni, come le filmine a immagine fissa, i film superotto, le videocassette, fino ad arrivare oggi alle lavagne interattive.
Le collezioni conservate al Museo dell’Educazione comprendono una ricca raccolta di quadri murali, circa duecento, databili tra la fine dell’Ottocento e gli anni Settanta del Novecento che si riferiscono a diverse discipline o argomenti: arti e mestieri, mezzi di trasporto, botanica, zoologia, geografia, scienze, astronomia, storia, tecnologia, geometria, medicina, religione, morale, anatomia e fisiologia umana. Sono tutti colorati e attraenti e insegnano, attraverso l’immagine, anche le norme di comportamento, oltre che le discipline scolastiche!


R come … RICOSTRUZIONE FACCIALE!
Hai mai guardato un cranio e immaginato un’espressione?
Nel caso di Giovanni Battista Morgagni, padre dell’anatomia patologica moderna, la risposta arriva dalla scienza e dalla tecnologia. Oltre due secoli dopo la sua morte, è stato possibile ricostruire digitalmente il suo volto partendo dal calco in gesso del suo cranio, ottenuto durante la ricognizione effettuata nel 2011 nella tomba comune di famiglia presso la chiesa di San Massimo a Padova.
Identificare con certezza le sue spoglie non fu semplice. Dopo due tentativi falliti nel XIX e XX secolo, l’indagine del 2011 ha unito fonti d’archivio, studi antropologici e analisi genetiche per attribuire finalmente un cranio al celebre anatomista.
Una volta eseguito il calco e ricollocato il cranio originale nella sepoltura, si è avviato un processo di ricostruzione facciale forense: un volto verosimile, basato su dati scientifici ma capace di restituire umanità a un protagonista della storia della medicina.


S come… Smilodon!
Un ospite americano si aggira per le sale del MNU e ha dei gran bei dentoni, non per niente lo chiamano anche “tigre coi denti a sciabola”!
Si tratta di un grosso felino vissuto nelle Americhe durante il Pleistocene, cioè fra i 2.5 milioni di anni fa e i 10.000 anni fa. Era lungo più di due metri, alto al garrese circa 1,20 m e poteva arrivare a pesare fino a trecento chili. Possedeva artigli retrattili, che venivano sfoderati solo in caso di necessità, come fa oggi il micio di casa! Come i felini attuali, probabilmente anche questo gattone emetteva vocalizzi simili a fusa, ma a una frequenza più bassa. Come lo sappiamo? La risposta sta in un piccolo dettaglio: la forma dello ioide, un osso della laringe implicato appunto nella produzione delle fusa o, in altri felini, nel ruggito.
Smilodon era un temibile predatore, che si muoveva probabilmente in branchi, cacciando grosse prede, come i mammut, ma non è escluso che si nutrisse anche di carcasse.


T come… Tonka
Una pianta ricca di sorprese!
Appartenente alla stessa famiglia dei fagioli e della robinia (il Museo Botanico custodisce semi di Tonka), è originaria dell’America meridionale dove cresce nei boschi umidi di Colombia, Brasile e Venezuela. E’ chiamata “tonka” dalle popolazioni indigene e il nome scientifico, Dypterix odorata, è riferito alla presenza di due petali simili ad ali nel fiore e al piacevole profumo emanato dai suoi semi, scuri e rugosi una volta seccati.
E proprio questi due petali, importati in Francia alla fine del Settecento, aprirono nuove strade nel mondo della profumeria! Infatti, grazie all’elevata concentrazione di cumarina, una sostanza con aroma di miele, mandorle e vaniglia il profumo che ne deriva è un aroma veramente piacevole. Grazie a questo aroma soave la pianta è stata impiegata per aromatizzare delle varietà di tabacco da pipa oltre che il successo in cucina, soprattutto in pasticceria e nella produzione di cocktail.
Ma bisogna stare attenti, perché in elevate quantità, la cumarina risulta tossica per cui va usata con moderazione tanto che negli Stati Uniti la vendita di tonka è vietata dal 1954.


U… come uccello lira
Hai mai sentito parlare dell’uccello lira? E’un grande passeriforme che vive solo nelle foreste pluviali dell’Australia orientale ed è un vero artista… sia del suono che della danza!
I maschi sfoggiano una spettacolare coda a forma di lira (sì, proprio lo strumento musicale!) durante il corteggiamento, aprendola davanti a sé mentre cantano e si muovono in modo teatrale per conquistare le femmine.
Non sanno volare molto bene, ma sono velocissimi a terra e ottimi cacciatori di insetti.
La cosa più incredibile? Possono imitare perfettamente qualsiasi suono ascoltino: versi di altri animali, macchine fotografiche, telefoni che squillano… perfino una motosega!
Durante la stagione degli amori, si costruiscono una "pista da ballo" nel sottobosco, che ripuliscono con cura… e lì inizia lo show.
Natura o talento da superstar?


V come… Vesuvio
Forse non tutti sanno che il Museo di Geografia ospita una ricca collezione di plastici storici, ma se ci si sofferma ad ammirarli lungo la Galleria dei Plastici si noterà che molti rappresentano vulcani: d’altronde, esistono elementi del paesaggio più evocativi e affascinanti?
Tra tutti, il più presente è il Vesuvio, con ben tre plastici… Ma attenzione: non sono tutti uguali!
Il più recente è il plastico di Amedeo Aureli in scala 1:25.000, acquistato nel 1911. Con le sue forme familiari e il bianco intenso, parrebbe immortalare qualcosa di immutabile. Invece, intende documentare la grande trasformazione subita dal vulcano durante la maggiore e più drammatica eruzione vesuviana del XX secolo, che nell’aprile del 1906 provocò 216 morti, oltre 112 feriti e 34.000 sfollati.
Un’impressionante fotografia di Frank. A. Perret, in prestito dalle collezioni di geologia, cattura l’enorme colonna di cenere prodotta dall’eruzione che, nella notte tra il 7 e l’8 aprile, causò il collasso del cratere sommitale.
Per capire com’era prima, è possibile confrontarlo o con quello costruito nel 1849 dal plasticista tedesco Thomas Dickert, in prestito dalle collezioni di geologia, che si trova in fondo alla Galleria: in essi, il Gran Cono centrale appare più alto di ben 220 metri e il cratere ha un diametro molto più piccolo.


X come… Xiphias gladius!
Dietro questo nome scientifico si nasconde un vero razzo degli abissi: il pesce spada, uno dei nuotatori più veloci dell’oceano, capace di raggiungere i 60 km/h! Il suo corpo è un concentrato di aerodinamicità: affusolato, privo di squame da adulto e con una potente coda a mezzaluna che lo spinge a grande velocità.
L’elemento più iconico, però, è senza dubbio il suo “rostro”, la lunga spada che dà il nome alla specie. Non serve per infilzare le prede, come si potrebbe pensare, ma per colpirle e stordirle con rapidi fendenti, facilitando la cattura durante la caccia.
E non è tutto: il pesce spada è uno dei rari vertebrati in grado di riscaldare gli occhi e il cervello, un adattamento che gli permette di mantenere i sensi acuti anche nelle profondità buie dove spesso si spinge per cacciare.


Y …come Yak
Lo sapevi che tra i bovidi c’è un animale super affascinante?
E’ lo Yak, detto anche bue tibetano. Con il suo pelo lunghissimo e le corna a forma di lira, vive da secoli sulle alte vette dell’Himalaya.
Ma ha anche un cugino europeo: l’Highlander, che pascola tra le montagne scozzesi. Entrambi hanno un aspetto inconfondibile: criniera lunga, corna affusolate e colori che vanno dal nero, al rossiccio, fino al bianco (considerato il più raro e pregiato).
Una curiosità: in Italia gli Yak sono arrivati nel 2009 sulle Dolomiti, dove vivono allo stato brado per “fare pulizia” nel sottobosco. Gli Highlander invece sono stati introdotti in Veneto e Trentino-Alto Adige per la produzione di carni magre e salutari, grazie al loro pelo che li protegge dal freddo al posto del grasso.
Insomma… animali montanari, rustici e affascinanti, che uniscono bellezza e utilità!


Z come… Zodiaco!
Chi l'avrebbe mai detto che anche gli antichi Romani avevano una passione per l’oroscopo?
Quasi nascosto tra le sculture del Museo di Scienze Archeologiche e d'Arte di Padova si trova un piccolo capolavoro: un idolo in marmo del II sec. d.C. decorato con… i 12 segni zodiacali!
Questa statuetta, arrivata da Sardi (antica città dell’attuale Turchia), era probabilmente un oggetto sacro per gli immigrati orientali a Roma: una connessione tra le loro radici e i nuovi culti diffusi all’epoca dell’imperatore Adriano.
Sopra i simboli zodiacali, scolpiti con una precisione da orafo, l’artista racconta anche il mito di Persefone rapita da Ade – un mix potente di astrologia e mitologia.
Un oggetto piccolo, ma con dentro mondi interi.

